STORIA SANT' ULDARICO - parrocchia Sant' Uldarico Parma

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PARROCCHIA
SANT'
ULDARICO
Storia della Chiesa di Sant’Uldarico

Chi arriva da via Farini nel piazzale di Sant’Uldarico, si trova davanti un gioiellino di piazza in cui, “…casa di Dio tra le case degli uomini…”, troneggia la Chiesa con la sua bella facciata.


Venne costruita fuori dalle mura di Parma sopra le rovine del teatro Romano. Durante gli scavi avvenuti dal 1844 al 1846, si scoprì davanti alla Chiesa ( dove attualmente sorge la Canonica), sorgeva un teatro Romano. Pare che questo sia stato distrutto nel IV secolo dai barbari che invasero l’Italia, portando ovunque sterminio e desolazione. L’Affò (Busseto 1741 – Busseto 1797), storico dell’arte, letterato e numismatico italiano, afferma che tutte le città dell’Emilia erano state ridotte a tanti mucchi di sassi e sopra una parte di queste rovine fu costruita la prima Chiesa di sant’Uldarico nel 973. Nella pergamena del 1505 vi è scritto: “Iuxta Ecclesiam Sancti Olderici cum molendino uno” e in una successiva del 1015 si ricorda che “Monastero S. Olderici Confessoeris foris civitate Parmae”. Questi due edifici sono di proprietà delle Monache Bendettine. Dal secolo VII e VIII è la Chiesa del Monastero delle monache Benedettine, le quali, oltre alla vita interna alla propria comunità, avevano la cura parrocchiale di una vasta zona a sud della città, gestivano i mulini per fornire la farina alla città e ospitavano i pellegrini di passaggio a Parma, nell’Ospedale per li forestieri.
La Chiesa se è dedicata a Sant’Uldarico è per colpa del cattivo tempo dell’ottobre del 971. Come raccontano le narrazioni del tempo, Uldarico vescovo di Augusta (Ausburg) era in viaggio con destinazione Ravenna, per incontrare l’imperatore Ottone I. Venne ospitato nell’ospedale del Monastero, preceduto dalla fama di ciò che aveva fatto vicino al fiume Taro in piena. Proveniente forse dall’attuale Fidenza, Uldarico dovette utilizzare tutta la sua pazienza per aspettare di passare il Taro in piena, nei pressi dell’attuale Pontetaro. Decise allora dopo almeno tre giorni di attesa di celebrare la santa Messa vicino al fiume in piena. Terminata la Messa, il fiume Taro “gonfio di acque tumultuose” ritornò calmo e il vescovo Uldarico poté proseguire per Parma.

Quando il 4 luglio del 973 morì ad Augusta e monache e parrocchiani seppero la notizia, e ricordando il prodigio del Taro, lo considerarono santo e gli dedicarono la Chiesa ed il monastero. Tutta questa tradizione e altro sono riportate in documenti dell’archivio di Stato. Sta di fatto che un documento storico del 1005parla del Monastero , Chiesa e mulino di sant’Uldarico come cosa nota da tempo da tutti.
Nei secoli XIV e XV la Chiesa venne ricostruita in stile romanico ed altrettanti ingenti lavori di ristrutturazione avvengono nel monastero. Di questo tempo, del Monastero si è salvato solo il meraviglioso Chiostro terminato nel 1449 e nella Chiesa il bellissimo Coro fatto ricostruire dalla Badessa Cabrini Carissimi nel 1505 dall’artigiano Gian Giacomo Baruffi. Nel 1440 la Badessa Sandrina Castelli aperse un cortile capace di trasformarsi in un chiostro nella seconda metà del 1400 la Badessa Petra Carissimi volle che la parte migliore della Chiesa e del Coro fossero riedificati. Poco dopo iniziarono il lavori. Nel 1505 il Chiostro era finito da tempo e la porta era stata eseguita ad intaglio così da poter servire come modello al Baruffi per quella del Coro. Il coro in origine era stato pensato con ventiquattro stalli, dodici per parte e doveva essere per disegno ed aspetto simile a quello del Coro della Chiesa di S. Francesco e se possibile superiore “… per bontà, per perfezione e per belecia …”. Gli stalli della Chiesa di S. Francesco erano stati ultimati nel 1448 dal maestro intagliatore cremonese Tommaso Sacoli.

La Chiesa verrà ristruttura con stile settecentesco dall’architetto Gaetano Guidetti che nel 1762 rifece la facciata e dal 1763 ristrutturò anche l’interno. Pochi decenni prima, verso il 1740, ristrutturò la volta della Chiesa. Mentre in Francia si svolgeva la Rivoluzione Francese, le monache di S. Uldarico ottennero il riconoscimento della proprietà e dell’uso esclusivo della stradello che va dall’attuale via Farini fino al monastero, non metà della proprietà e uso dello stradello che dall’attuale piazzale Santafiora portava al monastero. Purtroppo per via degli editti napoleonici, nel 1810, il Monastero e le sue proprietà vennero incamerati come beni dello stato diventando caserma e fonderia di cannoni. Nel 1822, per decreto della duchessa Maria Luigia, il monastero divenne ricovero per numerose religiose come le monache del monastero di sant’Alessandro. Quest’ultimo monastero venne soppresso poco dopo e venne costruito il Teatro Regio.
Dal 1898 al 1900, il parroco don Bernardi fece grossi lavori all’interno della Chiesa: sanò i sei piccoli sepolcri posti sotto il pavimento della Chiesa; demolì il muro che divideva la Chiesa dei fedeli da quella delle monache; alzò di un metro il pavimento sanando il sepolcro a castello delle monache tutt’ora visibile e divise a metà con un muro l’attuale coro dall’attuale sacrestia. Nel 1923 l’Amministrazione dello Stato diede in uso alla parrocchia il Chiostro, trattenendone la proprietà e permettendonel’ingresso dal campanile. Nel 1971 il Prevosto don Alberto Baroni riuscì ad acquistare dallo Stato ciò che restava del vecchio monastero insieme al cortile tra la Canonica ed il Chiostro con la servitù di passaggio per l’ingresso al Chiostro che rimane demaniale. Dal1982 col parroco Don Sergio Aldigeri si sono sistemate la sale presso il Chiostro con impianto elettrico e quello di riscaldamento a norma; interventi nella Chiesa dopo il terremoto ed infine il consolidamento del campanile e delle capriate della Chiesa.

Entriamo la Chiesa: entrando in Chiesa dal piazzale e alzando lo sguardo alla volta, campeggia un ovale di Antonio Bresciani che rappresenta “San Uldarico accolto in cielo dal Signore in mezzo agli angeli”.
Proseguendo lo sguardo verso l’alto si può notare, nei pressi dell’altare, un ovale e quattro pennacchi, opera di Pietro Rubini. L’Ovale rappresenta Angeli con la scritta tratta dal libro biblico dei Numeri (24, 17) “Orietur stella…”. I pennacchi rappresentano quattro profeti: Isaia, Geremia, Aggeo e Zaccaria. E’ un’originale preparazione al Natale fatta dagli angeli e dai profeti, che si completano con il dipinto della Natività

Le cappelle:
nella prima cappella a sinistra vi è il Battistero e sopra di esso un quadro di Lionello Spada che rappresenta il Battesimo di Gesù nel Giordano;
nella prima cappella a destra vi è un quadro di Antonio Bresciani rappresentante Il martirio dei Santi Filippo e Giacomo;
nella terza cappella di sinistra vi è l’opera più famosa della Chiesa: la Natività attribuita prima a Gerolamo Bedoli, poi al figlio Alessandro ed infine a Michele Mazzola (zio del più celebre Parmigianino. L’ipotesi più probabile è quella di attribuire l’opera a Michele Mazzola, perché dopo le sue nozze con Criselide Sforza, aveva la dimora nei pressi della Chiesa. Quest’opera venne esposta al The National Museum of Western Art di Tokio dal 29 maggio al 26 agosto del 2007;
nella terza cappella di destra vi è un quadro che proviene dall’ex  Monastero delle benedettine rappresentante San Benedetto – Santa Scolastica – San Placido di un autore emiliano.
Dietro l’altare, dalla parte sinistra, proprio all’inizio del coro vi si trova a circa un metro da terra una cassetta ovale con le ossa della venerabile Margherita Cristalli da Curatico, suora benedettina e morta in concetto di santità. Il vescovo Mons. Nembrini, d’accordo con la Madre Badessa, nel 1675 raccolse le ossa di suor Margherita e le mise dove ora si trovano all’inizio del coro.  Sopra l’urna della venerabile vi è un bellissimo quadro, opera di Clemente Ruta raffigurante Ester e Assuero; di fronte, al lato opposto, vi è collocato un altro grande dipinto che raffigura Giuditta e Oloferne. Questi due quadri eseguiti probabilmente nel 1718 erano destinati all’oratorio della Concezione che nel secolo XVIII ornavano la cappella chiamata del Comune in Duomo. Vennero collocati nell’atrio della Prefettura di Parma, ma essendo in condizioni pietose, furono portati a sant’Uldarico. Spostati verso la porta che dal coro introduce alla Sacrestia vi sono anche due quadri che raffigurano Sant’Antonio da Padova (di autore emiliano 1620 circa) e la bella pala di Girolamo Donnini, raffigurante la Madonna – San Giuseppe – san Rocco – Sant’Uldarico.
Lungo le colonne della Chiesa si possono ammirare le quattordici terracotte della Via Crucis dello scultore parmigiano Emilio Trombara (1875 – 1934).
Infine, uscendo dalla Chiesa, sopra il portone vi si trova un grande quadro del pittore Giovanni Tebaldi raffigurante San Rocco e gli appestati. L’opera venne tagliata in due ed una parte fu destinata alla Chiesa di san Rocco.

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